Con la Sent. n. 29541 del 16/07/2020 (dep. 23/10/2020), le S.U. della Corte di Cassazione sono intervenute nuovamente sull’annoso contrasto tra le due fattispecie di reato rispettivamente previste dagli artt. 393 e 629 del codice penale.
Con la prima norma è punito l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ossia la condotta di chi fa arbitrariamente valere una propria pretesa legittima usando violenza o minaccia, invece di ricorrere al giudice, mentre l’art. 629 disciplina il più comune delitto di estorsione, con il quale, utilizzando le medesime modalità d’azione, l’agente mira invece a conseguire un ingiusto profitto con altrui danno.
La Suprema Corte si è anzitutto occupata di stabilire se la distinzione tra le due fattispecie potesse essere individuata con riferimento al livello di gravità della violenza o della minaccia esercitate oppure se l’analisi dovesse essere circoscritta alla mera valutazione dell’elemento psicologico. In secondo luogo, ha cercato di inquadrare l’ipotesi nella quale, un terzo, privo di pretesa legittimamente azionabile, concorra con il creditore nella realizzazione della condotta prevista dall’art. 393 c.p..
Quanto alla prima questione di diritto, le SU hanno innanzitutto ribadito la ratio dell’art. 393 c.p., sottolineando come la principale funzione della norma consista nell’impedire che il privato si sostituisca agli organi giudiziari con un’attività violenta “per farsi ragione con le proprie mani”. Di guisa, la consapevolezza di agire per esercitare un proprio diritto è considerato dalla coscienza sociale quale motivo di attenuazione della pena (cfr. Cass. Pen. sez. 6, n. 1835 del 15/10/1969).
Ed è proprio quest’ultima aspetto che delinea l’elemento discriminante con il reato di estorsione, caratterizzato dalla diversa rappresentazione da parte dell’agente di perseguire un fine illecito. Per gli Ermellini, quindi, deve essere superato il criterio della materialità, fondato sulla valutazione della gravità della violenza o minaccia posta in essere dall’autore del fatto e, d’altro canto, deve essere sposato definitivamente il mero criterio psicologico, caratterizzato dal finalismo della medesima condotta (già Cass. Pen. sez. 6, n.45064 del 12/06/2014).
Le S.U. hanno, pertanto, risolto il primo quesito concludendo che le due fattispecie di reato, pur contraddistinte da “una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono essenzialmente in relazione all’elemento psicologico”. Con l’esercizio arbitrario il reo persegue il soddisfacimento di una pretesa che ritiene legittima e che potrebbe essere altrimenti azionata dinanzi all’autorità giudiziaria, mentre chi realizza la tipica condotta estorsiva, è pienamente consapevole del perseguimento di un ingiusto vantaggio. A detta della Corte, la gravità della violenza e l’intensità dell’intimidazione, veicolata con la minaccia, potranno al massimo rappresentare “indici sintomatici di una volontà costrittiva, di sopraffazione, piuttosto che di soddisfazione di un diritto effettivamente esistente ed azionabile” (già Cass. Pen. sez. 2, n. 44476 del 3.07.2015).
Per quanto attiene la risoluzione della seconda questione, la Suprema Corte ha, dapprima, chiarito la natura giuridica del delitto ex art. 393 c.p. riconducendola alla definizione di reato proprio non esclusivo, precisando che l’espressione “chiunque” con cui la norma esordisce non può ostacolare tale assunto. È, infatti, sufficiente ricordare altre ipotesi analoghe, per le quali non sussiste alcun dubbio circa la corrispondenza alla medesima classificazione. Si pensi ad esempio alla falsa testimonianza (art. 372 c.p.) o addirittura all’incesto (art.564 c.p.).
Anche in questo caso è determinante la valutazione dell’elemento psicologico. Le SU hanno, infatti, sostanzialmente confermato l’orientamento tradizionale, secondo cui “il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità”. Al contrario, laddove il concorrente ponesse in essere la condotta astrattamente comune ad entrambe le norme, perseguendo esclusivamente un interesse proprio o ulteriore rispetto alla legittima pretesa vantata dall’effettivo creditore, si configurerebbe un’ipotesi di concorso nel reato di estorsione.